Care mamme, cari genitori,
oggi per la nostra rubrica Mamme e leadership ricordiamo una mamma speciale, all’avanguardia che, per le sua innata curiosità, ostinazione e bravura, ha sacrificato la vita, in nome di una verità troppo scomoda.
Anna Politkovskaia è stata uccisa a colpi di pistola, mentre rientrava nella sua casa, a Mosca, il 7 ottobre del 2006. Al momento della sua morte è la maggiore esperta di Cecenia, il tema più scottante dell’attualità russa.
Figlia di due diplomatici sovietici, nata a New York nel 1958, Anna si laurea nell’82 a Mosca, dove, nelle prime manifestazioni della perestroika, incontra il marito, Alexander Politovskij.
Madre di Ilija e Vera, dopo un periodo di maternità, lontana dal lavoro e dalla passione politica, comincia a fare la cronista. La sua è la leadership della fuori classe, una reporter in prima linea di quel tipo di “giornalismo che comporta uno sguardo diretto su ciò che succede, che non solo viene perseguitato, ma si rischia anche la vita.” Lo scrive lei stessa nel 2003.
Dal 1999 Anna lavora alla Novaja Gazeta e, da sempre si occupa di profughi. E’ l’unico essere umano che, nel sequestro della Dubrovka, iniziato il 23 ottobre del 2002 e durato 3 giorni, si preoccupa di portare acqua agli ostaggi, diventando così, il naturale negoziatore in un attentato che si contraddistingue per il numero di donne kamikaze. Le sue azioni hanno avuto la capacità di cambiare il corso della storia.
Da qui i sospetti che l’avvelenamento di Anna nel settembre 2004, sia stato finalizzato a evitare la sua mediazione con i separatisti ceceni asserragliati in una scuola di Beslan, lasciando campo libero all’intervento armato delle forze speciali russe. L’operazione si conclude in un massacro: 334 bambini, le vittime ufficiali tra gli ostaggi.
E proprio dal paese per cui si batte tutta la vita arrivano i suoi sicari. Sono 5 i condannati nel primo verdetto, a maggio 2014. La mano dell’esecutore è quella di uno dei fratelli Makhmudov che agisce insieme ad altri 4 complici, ancora niente sui mandanti.
Vogliamo ricordare una donna che nella sua comunità, in un paese pieno di contraddizioni, dopo essersi dedicata alla famiglia, ha scelto di credere fino in fondo in quello che faceva.
“Sono agghiacciata pensando alle reazioni dei miei cinici contestatori di Mosca, che non sono andati mai in una zona di conflitto e sparano giudizi in continuazione su cose che non conoscono. Odio questa gente perchè non vuole pensare alla cosa più importante, alla nostra guerra così com’è, senza pretesti ideologici, a questa guerra combattuta con metodi criminali grazie agli sforzi congiunti della maggior parte della nostra popolazione. In un solitario faccia a faccia non so più come confrontarmi con queste pratiche. Sono ancora viva, ma non è forse al prezzo della vita altrui? Come abbiamo potuto accettare che questa guerra spazzi via il buon senso e metta sotto sopra tutti i riferimenti e tutta la razionalità di uno stato civile? Noi, inariditi dalla guerra, odiamo più spesso di quanto amiamo. Stringiamo i pugni volentieri, ma abbiamo difficoltà a riaprire le mani. E ancora una volta, invece, di respirare l’aria a pieni polmoni, ci nutriamo del sangue dei nostri compatrioti senza battere ciglio.”
di R. Bonani